lunedì 16 luglio 2018

Uovo alla Coque con guscio, ripieno al tartufo

Di:Giovanna Malvicino (Grazie)
Eccovi il mio uovo sorpresa. 

Armatevi soprattutto di santa pazienza e mano ferma e farete bella figura. 


Occorrente:
uova freschissime a temperatura ambiente, un tartufo bianco o nero secondo stagione e possibilità, una grattugia finissima, colla alimentare oppure un impasto sodo di acqua e farina, una siringa da iniezioni con ago non troppo sottile. 


Procedimento: si lavorano le uova una alla volta. 
Con l'ago della siringa praticate due forellini alle due estremità dell'uovo. 
Soffiate in uno dei forellini, il contenuto dell'uovo uscirà dall'altro foro, mettetelo in una ciotola. 
Con la grattugia riducete il tartufo in modo finissimo, mescolate il grattato all'uovo e mescolate bene, deve essere il più possibile omogeneo. 
Ora togliete l'ago alla siringa, assorbite con lo stantuffo il contenuto della ciotola, ora la parte difficile.
Spingendo delicatissimamente lo stantuffo, ricacciate dentro il guscio che avete vuotato il contenuto della siringa. 
Potete allargare di pochissimo il forellino a cui appoggiate la siringa. 
Ora chiudete i forellini con colla alimentare o con l'impasto di farina e acqua. 
Attendete qualche minuto che asciughi e cuocete l'uovo alla coque normalmente. 
Non preoccupatevi se esce un po' di albume, però tenete la fiamma al minimo.
Servite l'uovo nel portauovo accompagnato da fettine di pane tagliate a striscioline oppure con grissini. Ecco fatto . gli ospiti stupiranno. 

Ammè Cracco mi fa un baffo!

mercoledì 11 luglio 2018

Inno alla vita (Rudolf Nureyev)

La straziante Lettera alla danza che Nureyev scrisse mentre moriva di AIDS
Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza.
Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa.
Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine corso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.
Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore.
Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza.
Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.
Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita.

domenica 8 luglio 2018

Patate ripiene

Ingredienti:

  • patate
  • salamino , op. salsiccia
  • prosciutto cotto
  • pancetta
  • pecorino stagionato o altro formaggio
  • uova
  • aglio
  • prezzemolo
  • sale e pepe

Preparazione:
Sbucciate e affettate le patate.
Tritate tutti gli altri ingredienti.
Mettete del ripieno tra le fette delle patate, fino ad esaurire il tutto.
Cuocere il tutto in forno.

Non do le quantità perché va tutto a gusto.
E' una ricetta da considerare ''svuota frigorifero''


* opzione: si possono fare a strati in una pirofila

lunedì 2 luglio 2018

Variazioni gusti per maionese

Dopo aver fatto la maionese:

http://esmeralda-rosa.blogspot.com/2018/06/maionese-veloce-col-mixer.html

per variarne il gusto, potete aggiungere:

1) una manciata di prezzemolo e una decina di capperi, tritati finemente

2) un cucchiaio Ketchup e uno di salsa Worchester

3) una manciata di foglioline di menta tritate

4) g. 40 di mandorle tritate finemente (in questo caso sostituite il succo di limone con un bicchierino di vermout dolce)

giovedì 28 giugno 2018

Maionese veloce col mixer

Ingredienti:


  • ml. 200  di olio di arachidi 
  • 1 uovo intero
  • 1 cucchiaino di sale
  • 1 o 2 cucchiai di succo di limone o aceto bianco
  • 1 cucchiaino di senape

Preparazione:Procediamo mettendo nel barattolo l'uovo intero, l'olio, il sale e il succo di limone. 
E' importante non rompere l'uovo altrimenti il rischio di insuccesso è alto.
A questo punto va inserito il frullatore ad immersione facendo in modo che l'uovo rimanga dentro la bocca dove stanno le lame .
Una volta arrivati sul fondo si deve azionare il frullatore, che deve essere impostato alla sua massima velocità. 
Si tiene il frullatore sul fondo per i primi 30'' ,
 dopo di che si inizia a sollevarlo lentamente fino ad arrivare quasi alla sua estrazione dalla maionese.
A questo punto si procede alzando e abbassando il frullatore per 4 o 5 volte e la maionese è pronta.
in seguito personalizzarla secondo i propri gusti.
Si può arricchire il suo sapore inserendo ad esempio insieme agli ingredienti iniziale dei peperoncini (raccomando quelli freschi se disponibili), capperi, cetriolini, mela verde, prezzemolo, estragone  etc. etc...... 

Nota: per la riuscita, nei 30'' tenere il mixer fermo in fondo al bicchiere.
si può usare anche l'olio extra vergine.

sabato 23 giugno 2018

Il piombo fuso di San Giovanni

Il piombo fuso di San Giovanni

Una volta, nella notte di San Giovanni Battista, il 24 giugno, le bambine si divertivano a lasciare fuori dalla finestra un recipiente d'acqua in cui avevano versato un po' di piombo fuso. 

La forma che il metallo avrebbe assunto sarebbe stato, all'indomani, rivelatrice del mestiere che il futuro, ipotetico sposo avrebbe svolto.
Dal Web

Il 24 giugno, nella notte di San Giovanni, a Napoli avveniva il famoso scioglimento del "Chiummo" o piombo. Le donne erano solite sciogliere del piombo in un recipiente pieno d’acqua e lasciarlo a riposo per tutta la notte. 

Il piombo fuso a contatto con l’acqua, nel suo indurirsi, assumeva forme inusuali e disparate. Il rito è detto di “molibdomanzia”, ovvero l’arte divinatoria di interpretare le figure formatesi dall’unione di questi elementi: il Piombo (metallo alchemico associato a Saturno) fuso con lo Stagno (metallo associato alla Luna) e riversato in Acqua (la preziosa rugiada raccolta di notte). 

Si credeva infatti che il solidificarsi della sostanza avvenisse secondo leggi occulte e misteriose che avrebbero fatto assumere all'elemento, una forma che potesse essere associata con il mestiere svolto dal futuro marito della ragazza che sperimentava tale mistura. 
Quindi ad esempio, poteva fuoriuscire una scarpa se il marito faceva il calzolaio, oppure un paio di forbici per chi era destinato a diventare un sarto, oppure un martello per un futuro fabbro, e così via. 

Tale pratica pare fosse in uso anche in altre zone d’Italia al posto del piombo, veniva usato l’uovo. Collegata a questa misteriosa usanza è la Chiesa di San Giovanni a Mare, che è stata a lungo al centro di manifestazioni religiose al limite del profano; fino a che venne soppressa, restando l’ultima testimonianza di epoca normanna esistente a Napoli. 
Il rituale alchemico originario è andato perso nel corso dei secoli, così come i suoi effetti misteriosi; ciò che resta oggi è un semplice gioco popolare ricco di fascino.


* Prendi del piombo (ad esempio in ferramenta) fondilo in un barattolo (ad esempio quello dei pomodori vuoto) appena fuso versalo in un altro contenitore che avevi precedentemente riempito d'acqua

*Il procedimento col l'albume è più semplice; basta versarlo in un bicchiere di acqua, 
attendere un po e interpretare la forma che assume. 
A questo punto, buona fortuna!
Dal Web

Usanze del 23/24 Giugno (San Giovanni)

Un’usanza molto diffusa era anche quella della raccolta delle erbe di San Giovanni: si diceva che in questa notte e bagnate dalla rugiada avessero funzioni farmacologiche: in un proverbio romagnolo si dice “la guaza ‘d San Zvàn la guarès ogni malàn” (la rugiada di San Giovanni guarisce tutti i mali). Si riteneva addirittura che chiunque si bagnasse con la rugiada durante questa magica notte si dotava di una barriera in grado di difendere da ogni tipo di corruzione.
Con l’utilizzo di erbe si preparavano talismani con la convinzione che la singolare posizione degli astri concorresse a caricarli di virtù.
Tra le erbe di San Giovanni usate come talismani possiamo menzionare:
− l’iperico dai fiori gialli, da tenersi sul corpo tutta la notte per proteggere dalle sventure, e garantire sonni sereni, o fuori dalle porte per proteggere le famiglie;
− l’artemisia contro il malocchio;
− la ruta per le proprietà curative, e come scaccia diavoli, data la sua forma a croce;
− la menta bagnata dalla rugiada a garanzia della lunga vita;
− la salvia a proteggere dalle creature malvagie;
− la verbena simbolo di pace e prosperità; cara alle streghe, era in grado di guarire dalle malattie;
− il ribes i cui frutti rossi sono chiamati anche bacche di San Giovanni;
− la vinca, utilizzata anch’essa per la preparazione di talismani vegetali;
− la mandragora, una delle piante più pericolose, con la doppia facoltà di sedare ed eccitare data la sua essenza ambivalente, maschio e femmina; molto cara alle streghe, la usavano per preparare narcotici e filtri d’amore;
− il rosmarino che, appeso con iperico e ruta alle porte delle case, teneva lontani diavoli e streghe;
− l’aglio, potentissimo talismano, se raccolto prima del sorgere del sole era particolarmente forte contro la stregoneria;
− l’artemisia, preservava dai fulmini ed era amuleto protettivo contro il malocchio;
− la lavanda, riposta a mazzetti nei cassetti e negli armadi, proteggeva la biancheria e per estensione anche tutta la famiglia;
− la felce, donava capacità divinatorie, forze soprannaturali e sapienza (secondo le credenze il suo fiore si schiude solo la Notte di San Giovanni, resta visibile per un attimo e può essere raccolto solo dopo aver lottato con il diavolo);
− l’erba carlina, che serviva ad impedire il passo malefico della strega; se inchiodata alla porta di casa infatti, costringeva la strega a contarne con esattezza tutti i capolini.
Con queste piante era possibile fare l’”acqua di San Giovanni”; se raccolte nella notte fra il 23 e il 24 giugno, messe in un bacile colmo d’acqua lasciato fuori casa per tutta la notte aveva il potere di aumentare la bellezza, preservare dalle malattie ma nello stesso tempo difendere dal malocchio, l’invidia e le fatture, soprattutto quelle pronunciate contro i bambini.
Il nocino di San Giovanni
“… unguento unguento
mandame alla noce de Benevento
supra acqua et supra vento
et supra omne maltempo “.
Un’altra usanza tradizionale è quella della preparazione del nocino, liquore delle streghe, nella notte di San Giovanni. 
Il noce è il grande ed antico albero di Benevento attorno al quale si riuniscono a convegno le streghe. Le noci vanno colte verdi perchè possono essere trapassate da uno spillone da parte a parte e devono rimanere in infusione nell’alcool fino alla notte di San Lorenzo (10 agosto), poi vanno filtrate, zuccherate, e aromatizzate con droghe e spezie, come la cannella e i chiodi di garofano.