mercoledì 5 agosto 2015

Sopa coada

La sopa coada

Uno dei piatti trevigiani più famosi e forse il più prestigioso è “la sopa coada”,

 un ghiotto pasticcio di piccioni, da servire quale piatto unico in occasioni solenni.
Ora la “sopa” viene chiamata “coada” che sta per “covata”, proprio per una sua lunga cottura nei forni delle vecchie cucine economiche, cottura che raggiungeva il tempo di quattro e persino cinque ore.
Ora però all’origine della “sopa coada” trevigiana c’è un mistero non ancora svelato: di tale zuppa non si trova notizia nelle liste delle vivande delle osterie, delle trattorie e dei ristoranti di Treviso e di ogni altra città del Veneto, se non a partire dai giorni dell’avvenuta unità d’Italia, mentre di zuppe “coade” o “quate” o “coatte” si ha cenno nella tradizione gastronomica sarda, e specialmente nella parte nord orientale dell’isola, in un territorio corrispondente ad un di presso alla Gallura. 

Sicché tale zuppa viene chiamata anche “zuppa gallurese”, e si compone di brodo ristretto di carni miste, di pane e di formaggio in abbondanza, e “quata” o altre denominazioni analoghe non alludono a nessun covare, quanto piuttosto a “nascondere”, come di zuppa apparente, che sotto gli strati di pane accoglie alcunché di più sostanzioso e proteico. In loco ho avuto anche notizia di un’altra “zuppa coada”, e qui si addiverrebbe ad una stretta parentela fra il piatto e quello trevigiano, preparata con pane, formaggio, brodo ed anche con polpa di “grive” ovverosia tordi o anche merli, raccolti in una “taccula”, mazzo di otto o dodici uccelli già cotti ed avvolti di ramicelli di mirto, secondo un’abitudine gastronomica citata anche da Catone, nel suo “De agricoltura”, due secoli prima di Cristo. Quest’usanza è tuttavia del Cagliaritano e dell’Ogliastra, e pare che tale zuppa con grive si annoverasse anzi fra i piatti particolari delle feste nuziali. 
Ora la “zuppa quata” che nasconde la polpa delle “grive” sarebbe diventata in un suo probabile trasferimento veneto la “zuppa covata” per lenta cottura. 
Mi sono sforzato di cercare se nella storia di qualche famiglia di trattori trevigiana ci fosse l’innesto di qualche piccoletto ma generoso granatiere di Sardegna, ma non sono ancora in possesso di documenti inoppugnabili per suffragare la mia tesi, che mi sembra tuttavia molto credibile.
A considerar bene le cose non è che il Veneto avesse bisogno degli innesti sardi per inventare un tal piatto già presente nei ricettari nostrani di tutta la rinascenza, dal Messisbugo allo Scappi, allo Stefani, tutti con maestri e radici venete e veneziane in particolare. L’idea di trasformare piccioni o “pippioni” in zuppa è venuta a molti, ed in tempi lontani oltre al pane, al formaggio piacentino (da noi più usato del parmigiano), al brodo ed ai piccioni stufati e disossati, si abbondava in zucchero e cannella, poi via via scomparso, così come, e con maggiore frequenza, si sostituirono ai piccioni polpe di pollo e di cappone ed integrazioni varie, come ad esempio quelle di verdure e, in una ghiotta ricetta che ho recentemente sperimentata, anche di finocchi, creando un piatto di straordinaria delicatezza.
Resta comunque la denominazione comune che non credo proprio si debba ritenere casuale. 

Certo è che o qualcosa è venuto dalla Sardegna nel Veneto o, perché no (i veneti sono navigatori), qualcosa è andato dal Veneto in Sardegna.

Culla trevigiana della sopa coada
Le trattorie trevigiane più note per l’ammannimento della “sopa coada” erano due, quella della “Goba dele sciatiche”, alla Madonetta, e la “Trattoria Boschiero” ubicata nello stabile fra l’angolo di via Barberia e quello di Piazza Pola, ad un di presso dove ora c’è un laboratorio di corniciaio. I buongustai di tre e quattro generazioni fa venivano sin da Venezia per assaggiare questa zuppa leccorniosa, la cui degustazione richiedeva due viaggi, l’uno per l’ordinazione e l’altro per il consumo. Non era uno di quei piatti “sempre pronti” e si ammanniva solo su ordine espresso e quando le covate disponessero di colombini novelli, che quelli anziani e coriacei non erano adatti. Non si specifica se si trattasse di colombini di allevamento o di terraioli imprigionati nelle soffitte con l’inganno, proponendo loro per esca un po’ di mais di cinquantino, e richiudendo alle loro spalle le finestre di rete metallica, un vero e proprio “roccolo” cittadino. Insomma importante era che fossero “giovani”. Ed ecco allora l’originaria ricetta che la madre di certi nostri carissimi amici, che vuol mantenere l’incognito, ha avuto da una sua amica, che l’ha ereditata a sua volta dalla madre, che era nipote appunto del già citato Boschiero.
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La ricetta tradizionale
A persona: 


  • un piccione novello
  • un “montasù” fresco e croccante
  • due cucchiai di parmigiano grattugiato
  • una tazza di brodo ristretto
  • fiocchetti di burro a piacere
  • un pizzico di sale
  • olio
  • burro
  • un cuore di sedano

Mondare i piccioni e tagliarli in quarti, farli rosolare in olio e burro con un trito di sedano e un pizzico di sale. 
Debbono cuocere lentamente con coperchio in modo che esprimano tutto il loro umore.
Come siano tepidi disossarli accuratamente e far bollire per cinque minuti le ossa superstiti con il brodo.
Tagliare i montasù a fettine alte un centimetro e disporne uno strato in una tortiera imburrata abbondantemente. Irrorare le fette con una parte del brodo in cui avrete fatto sobbollire le ossa che avrete filtrato. 

Cospargere le fette di pane inzuppato con il parmigiano. 
Disporre sopra questo una parte dei colombini disossati e ridotti a pezzetti, quindi altro pane e così via, sino a che vi siano ingredienti. 
Finire con il pane. 
Di solito si prepara tale zuppa con tre strati di pane e due di colombini. 
Nei forni delle cucine economiche di una volta, a legna, la cottura poteva durare quattro e anche cinque ore; al giorno d’oggi, nel foro a gas, bastano anche solo due ore. 
In questa ricetta il brodo viene aggiunto poi, ancora un mestolino alla volta, di venti minuti in venti minuti. 
E’ chiaro che alla fine zuppa non è, ma un vero e proprio pasticcio di pane e piccione, da servire caldissimo, nello stesso recipiente di cottura, come piatto unico. Di pepe non si parla, ma taluno ce ne mette un pizzichino, magari sul proprio piatto e secondo il proprio gusto.
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La sopa coada fuori Treviso
Fermo restando che l’autentica trevigiana si è sempre considerata quella a base di piccioni, ammettendo tutt’al più solo la variante della lieve sfumatura di salsa di pomodoro, anche nella stesa città di origine, in una trattoria già della posta, fuori porta San Tomaso, si serviva una sopa coada che non aveva nulla a che fare con quella di origine, pur essendo una buona zuppa di pollo e pane, abbastanza brodosa. La più legittima delle “sope coade” si prepara presso il ristorante “Alle Beccherie” gestito dai Campeol rispettosissimi delle tradizioni, con in cucina la solertissima signora Alba. 

Una tradizione di “sopa coada” con pollo e persino con faraona (che in fondo somiglia di più al piccione) si prepara nella parte orientale della Marca Trevigiana in quel di Motta e di Oderzo, mentre in quel di Miane “Gigetto” propone un’edizione di “sopa coada” molto arrossata di salsa di pomodoro, non legittima, ma affermatasi egregiamente nella rassegna dei piatti regionali fatta l’anno scorso, presso l’Expo di Milano.
Un’altra “sopa coada” un po’ più sofisticata propone alla sua clientela il bravo Giorgio Gioco di Verona, dandogli una finta patina antica, col denominarla “sopa di Cangrande” ma non dando alcuna precisa referenza al piatto, che in altre edizioni similari potrebbe comune essere documentabilissimo. Diamo qui sotto le ricette delle varie “edizioni” di “sopa coada” di grasso ed anche di magro. Qualcuna di queste zuppe l’ho assaggiata alla trattoria “La campanella” degustandola al canto delle dolci melodie verdiane eseguite da Amelia Benvenuti, altre le ho inventate io e le ho desunte da antichi testi. Tutte, legittime o meno, venete o sarde di origine, mi sembravano gradevolissime, e talvolta persino leccorniose. 

Ognuno potrà scegliere secondo il proprio gusto.
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Sopa coada I
Su un soffritto di carota, sedano, cipolla, con abbondante burro, far soffriggere un piccione a persona tagliato a metà per lungo. 

Quando la cipolla è appena bionda aggiungere un po’ di vino bianco, e quando questo sia evaporato, salare, pepare e coprire i piccioni con poco brodo; portarli a cottura, con coperchio, a fuoco moderatissimo.
Nel frattempo passare al burro delle fette piuttosto grosse di pane raffermo. 

A cottura avvenuta disossare i colombini, senza sfasciarli troppo. 
Si rimettono i resti della carcassa nel sugo di cottura e si ricoprono di buon bordo, lasciando sobbollire il tutto per una decina di minuti o più, avendo attenzione che il liquido non si restringa e risulti troppo saporito.
Sistemare sul fondo di un recipiente di coccio (o di pirofila) uno strato di fette di pane, disporvi una parte delle polpine di colombo e cospargere di abbondante parmigiano, procedere così con altre fette di pane, altro brodo, altre polpine di piccione, ed altro parmigiano, almeno per tre strati.

 Gli strati delle fette di pane saranno sempre dispari, o tre o cinque, intercalati da due o tre strati di piccione e formaggio. 
Coprire il tutto con il brodo versato sul fondo di cottura. 
Mettere in forno a “covare” lentamente per almeno cinque ore, sino a quando il brodo sia quasi completamente evaporato. 
Cospargere la superficie con altro abbondante parmigiano, qualche pezzetto di burro, inumidire appena il brodo e rimettere tutto in forno abbastanza caldo per qualche minuto. Si serve asciutta, con l’accompagnamento, a parte, di una tazza di brodo ristretto, che il commensale potrà sia versare sulla zuppa-pasticcio sia sorseggiare fra una cucchiaiata e l’altra.
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Sopa coada II
Tagliare a quarti tanti colombi quante sono le persone da servire. 

Tagliuzzare le rigaglie e cuocerle assieme ai colombi a fuoco lento con molto burro, sale, una pestatina di sedano e pochissima conserva di pomodoro (sciolta in un goccio d’acqua).
Quando i colombini saranno ben cotti, vanno disossati, tagliuzzati e lasciati neI loro sugo con le rigaglie. 
Le ossa spolpate, ma saporite, si metteranno invece a bollire per 1/4 d’ora in un brodo ben consumato, preparato precedentemente con manzo e gallina o tacchino. In una tortiera, alta una spanna, bene imburrata, si metteranno, alternandole a strati, fette di pane sottili (non più di un centimetro di spessore) un po’ inzuppate nel brodo gia pronto e filtrato, e le polpe di piccione disossate con le rigaglie e il sugo, molto formaggio parmigiano e qualche pezzettino di burro.
I vari strati siano ben pressati e l’ultimo sia di pane. 

Mettere in forno per 4/5 ore. 
Molto di frequentemente bisogna versarvi dei mestolini di brodo perché “covando” il pane si asciuga.
La zuppa deve essere morbida e per valutarne la morbidezza si deve premere con un cucchiaio il pane, mentre è in forno, ed osservare che sempre esca un po’ di sugo. Sfornarla e servirla calda.
Dosi: 1 colombo, 1 grande tazza di brodo, 1 etto di pane a testa - formaggio, 

burro, sedano e conserva quanto occorre.
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Sopa coada III
Come la sopa coada I, sostituendo i piccioni con del pollo, cotto allo stesso modo e disossato. Un pollo da kg basta per quattro, persone.
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Sopa coada IV
Come la sopa coada II, aumentando il quantitativo della salsa di pomodoro ed usando del pollo invece dei piccioni. 

Usare pane in cassetta, e foderare con esso il fondo e le pareti di uno stampo a tronco di cono, imburrato, quindi disporre al centro i vari strati di pane e pollo. 
Porre in forno, in modo che il pane aderendo alle pareti si asciughi e lo stampo capovolto su piatto di portata formi una specie di pasticcio da tagliare a fette.
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Sopa coada cole verze
Come le varie sope coade precedenti, con o senza pomodoro, sostituendo i colombini con abbondantissime verze tagliate a listarelle ed appassite nel burro, o nel lardo con olio, o con un trito abbondante di salsiccia. 

Abbondare in formaggio grattugiato che anziché del parmigiano può essere dell’Asiago, o del Vezzena, o del Montasio stagionato.
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Sopa coada cole cegole
Come sopra sostituendo le verze con abbondanti cipolle sottilmente appassite al burro ed alternate a formaggio stravecchio grattugiato. 

Tale formaggio può essere integrato o sostituito anche con formaggio semigrasso tagliato a listarelle sottili.
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Sopa coada coi spinassi
Come quella con le cipolle o con le verze, che saranno sostituite da spinaci mondati, ben lavati, e saltati al burro con profumo d’aglio e di noce moscata o macis. Alternare gli strati con uova strapazzate al burro.


Sopa coada coi fenoci e el polastro
Tritare finemente le barbine di tre finocchi, ed affettare finemente i bulbi, che si faranno appassire in burro, irrorandoli con dado per brodo sbriciolato e cospargendoli di un pizzico di macis o noce moscata. 
Far cuocere in un litro d’acqua un kg. di ali e colli di pollo con la trippa tagliata a listarelle molto sottili, con rosmarino, sedano e aromi d’uso. 
Lasciar intiepidire, disossare tutto e ridurre in julienne, insieme agli aromi, sedano, carota, cipolla ecc. 
Disporre in una pirofila imburrata uno strato di fette di pane in cassetta tostate al forno unte un po’ di burro, disporre sopra le fette uno strato di finocchi, cospargere di parmigiano grattugiato, sistemare sopra questo il pollo, con la pelle, tagliato a listarelle, poi altro pane, altri finocchi, altro parmigiano, altro pollo e cosi via, finendo con il pane, quindi coprire con il brodo di pollo e passare al forno per due ore. 
Servire bollente cosparso di parmigiano.
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Sopa coada de tripe
Procedere come per quella di piccioni, cocendo però la trippa a listarelle molto sottili, con aroma di rosmarino e sedano tritatissimo, in brodo ristretto, su soffritto di cipolla tritata e pancetta.
Disporre uno strato di pane tostato e imburrato, uno di trippa, uno di parmigiano, un altro di pane e così via, sino a consumazione degli ingredienti. Il tutto si può rendere appena rosato con un cucchiaino di salsa di pomodoro, ed anziché usare del parmigiano si può usare del vecchio Asiago, o Vezzena, o Montasio, grattugiati. 

Il pepe ci sembra d’obbligo.
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Nota per tutte le sope coade
La “Sopa coada” si deve presentare come un pasticcio piuttosto sodo, e non deve essere brodosa, semmai si può servire accompagnata con una tazza di buon brodo bollente, servito in una tazza a parte. 

Brodo che si potrà sorbire a sorsi dalla tazza, o versare, per chi lo gradisse, sulla stessa “sopa coada”.


Giuseppe Maffioli su “Vin Veneto” - Anno IV, n. 1 (primavera 1977)

(Veneto)